La scamiciata 2022 dedicata a Margherita

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LA VOCE DELLA FESTA

L’aria della sera che declina è dolce. Suoni e colori della festa si rincorrono come voli di rondini che disegnano il cielo di fine giugno.
Le note squillanti delle chiarine, il rullo crescente dei tamburi da parata, il fruscio serico delle bandiere vibranti d’aria si fondono con il ritmo alternato dei tamburelli e le note incalzanti degli strumenti della tradizione. Gruppi di danzatori sfilano intrecciando canti e movenze immutate. Gli zoccoli risuonano metallici sull’asfalto. Sognano i cavalli di sgroppare sull’erba, mentre le nere livree dei cavalieri crocesignati, si spandono sui loro dorsi bai, madidi e frementi come velluto cangiante.
Si rincorrono urli di battaglia e nenie di lode a Colei che salva, che avvolge col suo manto di cielo, le case e le vite dall’assalto sacrilego, dal rovinoso pericolo che sovente giunge dal mare. Nottetempo, quando il sonno sorprende sulle torri le sentinelle, e gli infedeli straripano nelle campagne, assetati di sangue e di bottino.
Tutto si fonde e confonde nei suoni e nei colori della festa. Vibranti, smaglianti, antichi e sempre nuovi nella gioia che si rinnova da secoli. Da quando alla marina risuonava l’allarme lungo la piana e anche le fronde d’ulivo, fremendo d’argento, si piegavano al balenare di scimitarre vorticanti alla luce della luna. E finalmente le campane annunciano la fine della battaglia e lo scampato pericolo.
Sia benedetta la Madonna del Pozzo. E San Giovanni e Santo Stefano, i Titolari della Terra.
Dall’alto della Torre dell’Orologio che scandisce le ore dei paesani, una voce risuona familiare a narrare, come un cantastorie girovago, l’assalto e la vittoria.
Quando i simulacri dei Protettori arrivano per troneggiare in piazza, è tutto un fremito che percorre la folla, esplosione di luci in mille e mille riverberi, boato sordo che trascina il fiume di migliaia di festanti ad espandersi e ondeggiare come una marea alla luna.
Il racconto come la processione si snoda. E al prologo e alla descrizione colorata e dettagliata della Battaglia si sussegue incalzante la sequela dei protagonisti: gli armigeri con gli elmi piumati, “la meglio gioventù” del paese a cavallo dei neri possenti murgesi, gli alfieri con gli stendardi, gli austeri Cavalieri con la croce bianca sul petto, i compassati dignitari dalle gorgiere plissettate nelle carrozze tirate a lucido, le dame in sontuosi broccati, la soldataglia, il popolo festante degli scamiciati vittoriosi coi forconi, gli invasori in catene, le fanciulle raccolte a cantare alla Vergine spargendo petali di fiori, la barcaccia dei pirati catturata condotta in trionfo, e le sacre immagini dei Protettori…
Tutto scandito dai tamburi che ritmano il susseguirsi del Corteo festoso, il fragore della “Battaglia giocosa”, lo scintillio delle spade, l’incedere solenne, le danze, i costumi, l’arme, gli amori…

Margherita Latorre


E quella voce narrante che sempre racconta, puntuale, rinnovando la storia e il valore dei padri. Si materializza ogni anno, a giugno, un sogno nato più di quarant’anni fa. A sognare un gruppo di ragazzi visionari, che per età sono facili ai sogni, e un maturo, austero professore, insospettabile sognatore. Amanti delle tradizioni, ne discorrono di una antica, perduta nelle nebbie del passato, e sognano di riportarla alla luce, rinnovandola senza tradirla, recuperando il nocciolo che le diede vita. Il nucleo devozionale e religioso, oltre che l’anima schiettamente popolare. Quasi un mito fondativo della comunità locale, attorno al quale coagulare, attraverso la religione cittadina, una forma di sacralizzazione municipale.
Alla ricerca di un baricentro di nuova consapevolezza identitaria impastata di storia e cultura che rinnovi l’amore per la propria città.
Ma c’è bisogno di ispirare una nuova partecipazione comunitaria, e per farlo, ordire una narrazione come trama di sostegno, una tela ruvida ma robusta nella quale imbastire un corredo di nuove risorse culturali, di studio, ricerca, ma anche richiamo turistico e volano di promettenti risorse per l’economia cittadina.
Creare dal nulla un Corteo storico rievocativo, costumi, armi, accessori, stendardi e bandiere, Mostre, tornei sportivi, incontri culturali, raduni folklorici, Giornate di Studio, pubblicazioni, e soprattutto far radicare tutto questo nell’animo e negli occhi dei fasanesi.
E a narrare, quella voce, evocativa ed emozionante. Sempre vibrante di sincera passione.
Ogni volta a quella narrazione si prepara accuratamente, come fosse la prima volta. Carte, appunti, libri che maneggia freneticamente mentre parla, e la concentrazione è al massimo, non la si può distrarre. Tesa come una corda di violino, è tutta presa dal compito di illustrare alla marea che invade la piazza, quell’evento che si ripete ogni anno sempre diverso ma ugualmente spettacolare.
Quando le luci si spengono e le note dell’ultimo pezzo di banda si disperdono, l’aria sa ancora di carne al fornello e gli occhi assaporano il nucleo scarlatto d’alchermes della delizia di gelato, ci si ritrova stanchi a chiedersi: com’è andata? E a salutarsi come in Palestina, promettendosi: “l’anno prossimo a Gerusalemme”, e invece noi: “l’anno prossimo in piazza!”.
La festa, momento centrale della vita e dell’identità cittadina, si nomina tout court la festa, e si intende che sia quella patronale.
E aveva quella voce.
La voce di una ragazza prima, di una donna poi. Coltivata attraverso le tante passioni: oltre il lavoro, il teatro amatoriale, i canti e le danze tradizionali, le presentazioni e conduzioni di spettacoli, la prima radio libera e la tv locale, dove conduceva il tg. E poi tante serate, recital, letture.
Voce, che si nutriva di infinite letture. Era una lettrice accanita. e un bel libro era il regalo più gradito che potesse ricevere.
La festa patronale aveva voluto viverla fino in fondo. Con molti sacrifici, difficoltà, e tanta dedizione ne aveva anche fatto il presidente, alcuni anni fa. E quella edizione molti la ricordano come una delle più belle. Ma quanta ansia, quanta preoccupazione di non farcela, che la salute malferma le fosse d’impaccio. La voglia di organizzarla, la festa, era più forte di tutto, e la sua ostinazione nutrita di un amore incondizionato per il suo paese.
Quando mi hanno chiesto di scrivere di lei, mi sono domandata se fosse giusto che lo facessi proprio io.
Poi mi sono detta che forse avrei potuto solo dire della sua voce, senza celebrazioni o commemorazioni, che lei tra l’altro odierebbe come i “coccodrilli”, spesso ipocriti, d’occasione. E con il suo fare, a volte apparentemente brusco e alieno dai modi formali, c’è il rischio che avrebbe potuto farmi una “parte”.
Spero di evitarmela.
Anche perché non me lo perdonerei.

A.L

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